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Alternanza scuola-lavoro IIS Selmi

Vi raccontiamo la serata d'onore di ERT...

In occasione del suo quarantesimo compleanno, Emilia Romagna Teatro Fondazione ha messo in scena, il giorno 28 ottobre al teatro Storchi di Modena, uno spettacolo per ripercorrere, insieme alla COMUNITÀ, i suoi attivi e intensi quarant’anni di storia.
Tutto ciò è stato possibile grazie a un atelier, esempio di “teatro partecipato” che prevede la collaborazione diretta dei cittadini, in questo caso di 150 studenti modenesi, tra cui due classi del progetto Alternanza Scuola-Lavoro.

 

Ma che cosa intendiamo per “atelier”?
Costretti a seguire il progetto Alternanza Scuola-Lavoro, ci siamo ritrovati improvvisamente catapultati nella preparazione dello spettacolo per festeggiare i quarant’anni di Ert. 
Per tre intense giornate, dopo cinque ore di scuola alla mattina, abbiamo collaborato con i sette attori professionisti, quali Nicola Bortolotti, Michele Dell’Utri, Simone Francia, Donatella Allegro, Diana Manea, Eugenio Papalia, Simone Tangolo e Filippo Zattini aiutati dagli allievi della scuola di teatro Iolanda Gazzerro.
Il primo giorno di prove si è svolto al Teatro Storchi, dalle 14:30 alle 20:30; durante queste sei ore, dopo una breve introduzione e presentazione della compagnia, siamo stati divisi nei rispettivi gruppi di lavoro pronti per iniziare questo duro percorso… Una volta smistati nei vari e grandi gruppi, ci è stato spiegato il motivo per cui ci trovavamo lì: recitare, due giorni dopo, allo Storchi, davanti a quasi 500 persone.
Lo spettacolo si basava sulla formazione dell’acronimo “comunità”; ogni lettera corrispondeva ad un frammento dello spettacolo, recitato dai gruppi di atelieristi e alternati da interventi di attori e allievi, nei quali venivano citati alcuni degli spettacoli della produzione di Ert, durante il suo primo quarantennio.
Una volta aver assegnato a ciascuno di noi la propria parte, è iniziata la vera e propria preparazione, con tanto di esercizi di riscaldamento proprio come fanno i veri attori. I giorni seguenti ci siamo dedicati principalmente alle prove, dopo aver rotto il ghiaccio grazie ad una serie di esercizi divertenti, ad esempio lo scioglimento del corpo e dei muscoli del viso necessari per scandire al meglio le parole, costantemente aiutati dagli attori professionisti e dagli allievi che ci davano consigli su come interpretare al meglio la parte. 
Il terzo e ultimo giorno, quello del debutto, abbiamo finalmente avuto l’occasione di provare, per la prima volta tutti insieme sul palco dello Storchi, lo spettacolo per intero. 
Man mano che si avvicinava il “grande momento” la tensione e l’emozione degli atelieristi cresceva, non avendo, la maggior parte di noi, mai avuto occasione di vivere un’esperienza di questo genere. 
Nonostante non fossimo preparati ad affrontare un pubblico così numeroso, siamo riusciti a rendere lo spettacolo divertente prima di tutto per noi, ma, allo stesso tempo, anche coinvolgente e piacevole per tutto il pubblico, soprattutto grazie all’aiuto dell’intera compagnia. Inoltre, quest’avventura, oltre ad aver lasciato sicuramente un ricordo positivo, ha conferito maggiore sicurezza nei ragazzi più introversi, invogliando magari anche alcuni di noi ad avvicinarsi al mondo del teatro. Partecipando a questo atelier abbiamo avuto un contatto diretto con gli attori e con la lunga costruzione di uno spettacolo, che comporta impegno e concentrazione. Non sapevamo cosa aspettarci da questa esperienza ma, ora che siamo sopravvissuti, possiamo dire che ne sia davvero valsa la pena “perdere” un sabato sera.

Ecco cosa intendiamo noi per “atelier”!

In inglese...

In honour of the 40th anniversary of the well-known national theatre ERT (Emilia Romagna Teatro Fondazione), its company organised an atelier. The latter consisted in a participated play in collaboration with about 150 students from Modena and its provinces, accompanied by the young actors who are attending the Academy of Theatre “Iolanda Gazzerro”. This project thrived during the course of three days.

DAY 1: 26-10-2017
On Thursday 26th October, the company arranged a meeting at the main headquarter, Teatro Storchi. Once we were seated in the audience, the actors immediately interacted with us and they introduced themselves all while making us feel at ease. Then we joined them by taking part in their typical training, that is saying the three words over and over: RO, ROMA, BENEVENTO. Later our instructors taught us a song that we would have to sing at the end of the play. Afterwards, the actors divided us into 4 groups and helped the thirty students of each group to prepare the play.

The show was based on the word COMUNITÀ, treated as an acronym. Each letter stood for a word that has characterized the forty years of activity of ERT; for example, the letter C corresponded to the word COUPLE. Starting from the single words, each group had to realize a small scene acting together with the actors. After the subdivision of the groups, we tried to interpret the script.

DAY 2: 27-10-2017
On Friday 27th, each group showed up to different meeting places: some of them worked in Teatro delle Passioni and others in the Academy of Theatre “Iolanda Gazzerro” in via Selmi. We took part in some activities to break the ice and practice our acting skills until early evening.

DAY 3: 28-10-2018
On Saturday 28th, every single group met at Teatro Storchi theatre for the rehearsal which lasted all afternoon. Before long we rushed into the dressing rooms to get ready for the performance.  We enjoyed the act from the balconies until it was our turn to shine. Our favourite part of this experience was the moment we sang the final song all together because we felt part of a team especially when we managed to involve the audience. After the show we ate pizza with our mentors and we discussed our experience.
Thanks to these three days of atelier, we had the possibility to discover the unknown world of theatre. Working with professional actors allowed us to give all that we had and we discovered our repressed love for being on the stage. We didn’t expect anything special from this experience but at the end we felt surprised and satisfied.

Interviste

Intervista a Nicola Bortolotti

Partecipando al progetto ERT di alternanza scuola-lavoro, noi ragazzi della 4°H del Liceo Selmi, abbiamo avuto l’opportunità di partecipare come attori all’Atelier ‘Serata d’onore. Atelier per i 40 anni di ERT”.

L’attore Nicola Bortolotti, che per l’occasione ha anche diretto tutti gli attori e gli atelieristi che hanno partecipato, ci ha guidato nel perfezionamento delle nostre parti e poi ci ha dato spazio per un’intervista.

A proposito di Nicola…

Nicola Bortolotti, classe 1972, si diploma come attore nel 1995 alla Scuola di Teatro del Teatro stabile di Torino diretta da Luca Ronconi e si perfeziona poi con altri nomi importanti del settore.

Dopo aver collaborato con l’ITC-Teatro di San lazzaro, dalla stagione 2010-2011, lavora con Emilia Romagna Teatro partecipando prima a ”La Resistibile Ascesa di Arturo Ui” con la regia di Claudio Longhi e poi a ”Il Ratto d’Europa”. Nella stagione 2015-2016 prende parte al progetto ”Carissimi Padri… Almanacchi della “Grande Pace” ” che culmina con il trittico di spettacoli ”Istruzioni per non morire in pace. Rivoluzioni. Patrimoni. Teatro” scritto da Paolo Di Paolo. Bortolotti è stato, inoltre, formatore per il progetto di alta formazione artistica Raccontare il territorio: per un’idea di teatro condiviso, promosso da ERT Fondazione e altri due enti: l’Accademia Filarmonica di Bologna e CUBEC Accademia di Belcanto di Mirella Freni.

La prima domanda è abbastanza semplice: quanti anni è che fai l’attore?

Sono 24 anni calcolando anche i due anni di scuola di teatro.

Non per essere indiscreta ma quanti anni hai attualmente?

Figuriamoci, ne ho quarantacinque. Sono entrato alla scuola di Teatro Stabile di Torino a ventun anni e ne sono uscito a ventitré.

Quando hai cominciato a studiare teatro?

Ho cominciato da adolescente, quando avevo 11/12 anni, in un gruppo di lettura espressiva in cui facevamo letture molto curate. Ho partecipato anche al gruppo di teatro della scuola, nel quale gli studenti si autogestivano per fare un gruppo, diretto da uno studente della scuola. In seguito ho preso parte ad una filodrammatica dove un gruppo di persone, tutti attori non professionisti, si ritrovavano una volta alla settimana per montare una commedia, ne facevano circa due l’anno. Ho cominciato così.

Che ruolo hai interpretato nel primo spettacolo a cui hai preso parte?

Si trattava di una commedia, di un atto unico, dell’autore Tullio Pinelli, che è stato anche sceneggiatore dei film di Fellini. L’opera si chiamava “Lo Stilita”, io ero il coprotagonista di quest’atto unico a due personaggi e interpretavo la parte di Ireneo. La storia parla di un uomo molto ricco chiamato Lattanzio che decide di ritirarsi a fare lo stilita, colui che si isola su una colonna del deserto: sostanzialmente l’eremita. Decide di portarsi dietro un servo che si chiama Ireneo, ovvero io, e per una serie di vicissitudini comiche sarà il servo a diventare stilita e il padrone se ne andrà e tornerà alla sua vita comune.

Ma stavate veramente su una colonna?

Sì stavamo veramente su una colonna: era nella scenografia, sarà stata alta 4/5 metri, era un colonnone bianco di legno piantato in mezzo ad un deserto di sale grosso bianco.

Qual è l’aspetto più bello del tuo lavoro, quali sono i pro e i contro? Cos’è che ti soddisfa di più?

Non è facile rispondere a questa domanda… L’aspetto più soddisfacente è forse quello di poter tirare fuori delle cose sulla scena che magari nella vita non si ha sempre l’occasione di esteriorizzare. Prendere coraggio e sfruttare la possibilità di esperirsi trovandosi al sicuro, perché il teatro è un posto in cui si può vivere, è una realtà parallela. Da un altro punto di vista, però, si è molto esposti al giudizio degli altri. In effetti è un lavoro un po’ contraddittorio da questo lato. Ma tutto sommato poter dar voce a tanti aspetti della propria personalità, solitamente difficili da esprimere, è la cosa più interessante, intrigante e divertente.

E questo giudizio lo percepisci più sulla tua pelle come attore, cioè come interprete di quel ruolo, oppure sulla tua persona?

No, sulla persona no, però il modo in cui si lavora è per un attore propriamente parte di ciò che si è. Per cui è un giudizio sicuramente professionale ma la professione è qualcosa con cui sei fortemente compromesso. Tuttavia il fatto che ti dicano che hai fatto male qualcosa, che sei quindi un “cattivo attore”, influisce sulla percezione di se stessi come persona e come attore: non è una professione in cui alla fine della giornata chiudi la tua borsetta e torni a casa, si investe anche su altri ambiti personali e per questo siamo un po’ scoperti sul versante ”privato”.

(Annovi Eleonora, Claudia La Selva, Najma Dardi, Manale Mounkary, Zainabe Kachni, Nicole Ricci)

Intervista a Giacomo Pedini

Durante il percorso di alternanza, abbiamo intervistato Giacomo Pedini, collaboratore di Emilia Romagna Teatro Fondazione e assistente alla regia di Claudio Longhi. Trai i due in realtà la collaborazione era precedente, in quanto Longhi era il professore referente di lettere moderne presso l’Università degli studi di Pavia, dove Giacomo si è laureato.

Giacomo Pedini è, inoltre, l’autore di diversi saggi di letteratura teatrale e storia del teatro, da aggiungere alle sue diverse competenze, tra cui troviamo anche il ruolo di organizzatore di progetti di teatro partecipato.

Hai sempre voluto lavorare in questo settore?
Sì, io ho iniziato ad appassionarmi al teatro alle superiori, come tante altre persone. Era un ambiente che già frequentavo poiché mio padre era un musicista, ma si trattava perlopiù di un teatro musicale. Ne sono sempre stato molto incuriosito ma ho iniziato per ragioni bizzarre: al liceo esistevano i laboratori teatrali, organizzati dalla mia prof. di Italiano, grande amica di mia madre. Ebbene, io in italiano andavo malissimo e ho deciso di fare una scelta “furba” per aiutarmi. Ho scoperto una nuova passione, che mi ha poi avvicinato anche alla lettura e alla letteratura, su cui mi sono poi concentrato per la mia scelta universitaria. Alla facoltà di lettere di Pavia, ho conosciuto Claudio Longhi, il mio professore, che mi ha riavvicinato al teatro facendomi lavorare come tirocinante e da lì non ho più smesso.

Come consideri il tuo rapporto con Claudio Longhi?
Il rapporto con Claudio nasce come un rapporto lavorativo che, dopo anni, è diventato anche personale. In termini prettamente lavorativi, il nostro rapporto è stato molto importante, difatti ho sempre e solo lavorato con lui e non ho mai sentito l’esigenza di accettare o cercare altri lavori, nonostante ne abbia avuto più volte l’occasione, specialmente all’inizio della mia carriera. Ho deciso di non cambiare collaboratore perché mi stimolava molto il nostro lavoro, specialmente perché condividevamo gli stessi presupposti: l’interesse nei confronti del pubblico, l’attenzione al problema del rapporto tra teatro e politica e, soprattutto, entrambi non vedevamo il teatro solo come una pratica, bensì come un’attività culturale e una componente intellettuale. Per me, questo è un concetto molto importante, in quanto vedo il teatro come una realtà culturalmente qualificante. È stato, quindi, un rapporto molto proficuo anche perché ho collaborato con lui a livello universitario in diverse ricerche. Si tratta di un rapporto lavorativo molto forte e di varia natura, che poi dalla stima reciproca è sfociato in amicizia.

Com’è nata l’idea di questo progetto di teatro partecipato?
Il teatro partecipato è un’idea progressiva, nata dal lavoro con Lino Guanciale a Parma nel 2006. Il forte interesse di Claudio all’attività pedagogica e la sua esperienza didattica a Roma e al teatro di Parma, hanno contribuito all’attività nelle scuole. Questa attività consisteva in lezioni di spettacolo e in lezioni di storia del teatro, caratterizzate da un coinvolgimento diretto. Claudio, inoltre, ha approfondito lo studio di esperienze teatrali degli anni 70, specialmente di Scabia e Squarzino, che si focalizza sul rapporto con la comunità. Entrambi hanno costruito diverse possibilità partecipative alla vita del teatro, Scabia in maniera particolare. Il progetto dal quale è nato questo tipo di teatro è stato lo spettacolo La resistibile ascesa di Arturo Ui prodotto da ERT e dal teatro di Roma. Lo spettacolo è stato messo in scena con la collaborazione di tredici scuole, una classe per scuola, e ad ogni classe è stata assegnata una scena. Il debutto a Roma ebbe un grande successo e il successo conseguito a Roma li ha portati a riproporlo a Modena, facendo così nascere il teatro partecipato.

Con che criteri scegliete che categorie di persone coinvolgere nei diversi progetti?
Non esistono criteri sociologici, predeterminati o assoluti, ci sono piuttosto delle valutazioni che cambiano a seconda dei progetti e delle attività. L’obiettivo massimo era il coinvolgimento omnicomprensivo ma era un’aspirazione utopica che avrebbe richiesto una forza di persone superiore a quelle disponibili, poiché limitate. Si è tentato di essere il più estesi possibile, cercando perlomeno di coinvolgere alcuni campioni rappresentativi, istituzionali o amministrativi in determinati contesti. Il nostro scopo era quello di non vincolarsi a un determinato nucleo di persone precedentemente coinvolte per poter estendere i contatti a persone esterne. In base al lavoro da svolgere, si fanno poi scelte specifiche.

Gli attori apprezzano la partecipazione di persone estranee al mondo del teatro?
Quando abbiamo deciso, con il progetto Il ratto d’Europa, di creare una forma spettacolare coinvolgendo anche attori non professionisti, anche per noi è stata una sorpresa in termini di approccio lavorativo, poiché, nel gruppo di attori che collaboravano al progetto, quasi nessuno aveva esperienze di questo genere. Nemmeno io, sebben avessi partecipano a un progetto che coinvolgeva le scuole di Cremona. Per noi era una sfida, una novità perché nessuno di noi sapeva come comportarsi di fronte a persone inesperte. Abbiamo capito che si trattava di una grande possibilità di scambio in cui potevamo donare elementi della nostra esperienza professionale a persone che non li avevano, non nell’ottica di formare degli attori, ma piuttosto per condividere conoscenze che riguardano l’approccio corporeo del teatro. Fu un’esperienza spiazzante, sia per noi che per loro, soprattutto perché potevamo osservare le diverse reazioni degli inesperti. Ad esempio, lavorammo anche con ragazzi che condividevano la passione per il rugby e che perciò sapevano usare il corpo con regole ferree. Giocammo una partita assieme e ci fu tra di noi uno scambio sorprendente: noi, grazie alla partita, capimmo che la messa in scena era un gioco di squadra e questo ci fece crescere come professionisti perché giungemmo alla conclusione che l’atto teatrale è condivisione e che ci si dà mutualmente il tempo.

Cosa vi ispira quando dovete organizzare questi progetti, come ad esempio “Un bel di Saremo” e “Carissimi Padri”?
I progetti nascono secondo una struttura analoga, cioè si decide un tema che farà da guida all’intero sviluppo. Una volta scelto, si intavola una collaborazione sia con le associazioni di distribuzione, sia con le persone coinvolte singolarmente. Il tema scelto deve avere la capacità di raccontare la quotidianità e di suscitare interesse su quest’ultima. Il teatro è, infatti, un’arte che vive solo ed esclusivamente nel presente, a differenza della cinematografia, la pittura e la letteratura che permangono nel futuro. Ha un rapporto non eliminabile con la realtà del presente a cui è sempre legato.
Si sceglie un tema che abbia quella capacità di racconto e lo si sviluppa anche andando in lontananza. Su questo poi si immaginano delle attività con le associazioni partner e si costruisce una prima bozza di programma. Spesso si tratta di progetti aperti alla partecipazione del pubblico come i più recenti, ovvero Carissimi Padri e Un Bel Dì Saremo.
Carissimi Padri trattava il tema delle origini della grande guerra, mentre Un Bel Dì Saremo quello della trasformazione della città del ‘900. Sono due temi diversi che impiegano un lavoro diverso, sia nella ricerca delle drammaturgie e dei testi, sia nel coinvolgimento dei partner, che possono essere più portati per un ruolo o per un altro.

Ma il tuo lavoro di assistente, oltre a fare da tramite tra il regista e gli attori, in cosa consiste?
Io faccio un grande lavoro di intermediazione, di natura creativa. Quando faccio l’assistente alla regia aiuto il regista nel comporre lo spettacolo e collaboro anche con la compagnia, lavorando nel reparto creativo e tecnico. Svolgendo invece il lavoro drammaturgico svolgo sempre un lavoro di creazione cogliendo lo stimolo ideativo che arriva dal direttore artistico, dal regista e dallo scrittore di turno e cercando di tramutarlo in un’idea spettacolare che sta in piedi. Per esempio, per strutturare il vostro percorso di alternanza scuola-lavoro ho avuto un colloquio con Federica Righi e abbiamo quindi formulato una bozza di attività da costruire. Oppure, nel caso dell’atelier a cui avete partecipato, ho esposto a Nicola Bortolotti le idee di Claudio riguardo allo spettacolo in occasione del quarantesimo anniversario di ERT.

Trova più stimolante partecipare a progetti di teatro partecipato oppure a spettacoli normali in ci recitano attori professionisti?
Personalmente dipende molto dal momento, dipende da quello che sto facendo, dall’umore, dal periodo… Dopo un po’, come per tutti i lavori, anche se appassionanti, viene voglia di cambiare. Ed è proprio la possibilità di cambiare che ti offrono questi progetti la cosa che preferisco. Sostanzialmente non ho una preferenza assoluta. Mi piace il fatto che ci siano sempre nuovi stimoli, cosa fondamentale in questo tipo di lavoro, poiché è un mestiere che funziona se hai sempre uno stimolo. Così facendo, nei progetti si uniscono momenti di condivisione e momenti di partecipazione, ed è questo il bello: si cambia sempre.

Relazione Atelier: Marchetti Francesca, Sicignano Aurora, Riviera Alessia, Mira Luka, Casciarri Erica

Relazione Atelier inglese: Federica Abate, Agnese Cavazzuti, Elisa Glorioso, Luigi Pacetti, Marina Kurti

Video: Carolina Boscardin, Giulia Giordani, Chiara Marchetti, Alessandra Ferramosca, Linda Bertoncelli

Intervista a Nicola Bortolotti: Annovi Eleonora, Claudia La Selva, Najma Dardi, Manale Mounkary, Zainabe Kachni, Nicole Ricci

Intervista a Giacomo Pedini: Eleonora Francia, Laura Podaru, Sara Menozzi, Fabio Giovini, Carlotta Chiodi